ILIRIAN ZHUPA
L’ARISTOCRATICO DELLA BELLA PAROLA
Ilirian Zhupa, uno dei poeti più importanti albanesi, cavaliere d'onore delle nostre lettere, mi sono familiarizzato presto. Fin dalla metà degli anni '80, ancora adolescente, frequentando Durazzo e Tirana, i circoli letterari di quel tempo e conoscendo da vicino molti creatori in diversi generi dell'arte.
Il suo nome, i suoi libri e la poesia particolare che creava, erano già allora molto discussi, rimanendo come un'aureola luminosa nel cielo grigio albanese. Pertanto, da allora e ancora oggi, il nome di Ilirian Zhupa è rimasto un nome caro per me e per i suoi numerosi lettori.
Senza dubbio, è un aristocratico della poesia, ogni suo verso è rivestito di splendore e arte. Come pochi altri, sa lavorare con la parola, e con maestria ci dona sensazioni belle e meravigliose di ispirazione poetica.
Pertanto, per i suoi grandi meriti letterari, viene e deve essere ulteriormente apprezzato anche in futuro. La sua poesia ci rende orgogliosi e ci stimola a promuovere la Bellezza. Per questo motivo, con le mie possibilità, ho desiderato tradurre due delle sue poesie nella dolce lingua italiana, dove vivo da molti anni, ed è diventata parte della mia vita. Spero che all'autore ed a tutti i lettori piacciano.
SOGNO
Notai una ragazza compiaciuta di sé stessa
Oltre le rive, pensando che nessuno la osservava
Pettinava i capelli sugli specchi dimenticati delle pozze d'acqua
E si mangiava con gli occhi i suoi fianchi.
I capelli castani sul suo petto formoso cadevano
Come un soffice muschio dorato,
E sotto di loro in continuo il fruscio segreto dei seni
più che mai parlava chiaro.
Girava sulle sue ginocchia perfette,
traballava
Si spostava e sulla terra pesava su una sola gamba
Si inchinava, correva, cacciava via, si rassegnava
E si baciava col vento.
Era così naturale nei liberi movimenti del corpo
Che a me dispiaceva chiamarla
Perché mi sembrò che con il mio amore da uomo
Avrei ucciso dentro di lei qualcosa di prezioso.
Mi sembrò che con il mio innocente desiderio
Calpesterei dei rami fragili appena sbocciati
Credo, tanto lo amai... Mi allontanai da lei come un cieco.
Lo amo...e fugo ancora.
(Dal libro "Non chiedermi dove sono stato", 1984)
ORMAI È TARDI DI MANCARMI
Mi mancano tante cose, ma tu di più.
La strada mi spinge a gomiti, come se vuole che esco fuori.
Nelle panchine si siedono degli anziani, con le facce candide
E tutte queste facce si assomigliano.
Io dove vado? Chi devo seguire? A chi devo parlare?
Vado nelle biblioteche e i libri mi piegano dal peso dell’amore
Seguo il volo degli uccelli e nei cieli mi si dipinge una ragazza
Parlo con uno sconosciuto e non mi rendo conto cosa dico.
Ho tutto, e vedo che mi mancano, mi abbandonano
Il fuoco spalanca il mio petto
Si scaldano in tanti, ma tu no.
Le vie dove pellegrino finiscono
Soprattutto, lì dove sbocciano
Gli occhi mi si rabbuiano dell’attesa che non li chiamo più occhi.
Sorbo un caffe con amici. Ci separiamo. Loro corrono dalle loro amanti
Appoggiano il capo nelle loro spalle fragili
Sussurrano, purificano l'anima dalla brina.
Ma cosa potrei fare io? Torno in me stesso!
Appoggio la testa sugli orizzonti increspati,
Sussurro fino ad esaurirmi e mi manca il respiro.
Dopo tutte queste fatiche, scrivo e cancello versi
Il cielo si illumina di azzurro, l’età diventa sopportabile, la notte si copre di stelle.
Canto l'amore che ho e non ho, che lo trovo fragile e grande
E mi sento un demiurgo e preda degli amori.
È tardi ormai di mancarmi, Amore mio!
Traduzione di Rifat Ismaili poeta, scrittore, saggista
Fondato da: Francesca Gallello
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