RAGAZZO CHE CORREVI
Il ricordo della tua fanciullezza,
o ragazzo che correvi attorno al fuoco
ebbro al limitar del campo
è un bianco inverno dalle bombe
rotto e dal ventre dilaniato,
dove l’inizio di ogni forma
l’estrema notte doma.
Non è di legno il fucile che stringi
tra le mani e continua a sparare
quando improvviso t’inabissi,
non per paura, ma vinto dal dolore.
Mondo fermo è il tuo paese,
squallida stazione desolata.
Nel tempo sospeso l’attesa
non trovi di giorni da abitare,
solo attimi al tuo sacrificio dilatati.
Solitario attende quel prato lontano
il tepore di una casta primavera:
un anno è trascorso e ancora
non è stanco della bufera.
Incide sul foglio il poeta del dolore
parole con lettere di fuoco.
E la materia si fa carne viva e sangue
nell’alba muta su una rossa follia
e sbianca in muti istanti di terrore
in un nuovo inverno trascinata
dove per libertà si muore.
ZAPORIZHZHIA
Dal campo minato effonde
l’afrore di carne bruciata
dove mani dalle dita scarnite
affondano l’ultimo grido
di una carcassa che giace.
Nera è l’acqua che scava
il cavo letto di un corso vicino
e la vita che brucia è vita
svaporata.
Contaminata è l’anima
di Zaporizhzhia che il vento
a dismisura trascina.
Non ha colore la città d’inverno.
Il tempo si è tinto di bianco
negli occhi di chi allora è stato.
Tempo sottile nel sopravvissuto
che s’illude di vivere ancora,
per un bianco nevoso
che ha nascosto il buio
nel fondo di una culla vuota.
A YANA
Angelo minuto dalle trecce bionde
per giorni e giorni accanto
ai colpiti in battaglia, ai sanguinanti
di una trincea da evacuare
sotto quei colpi di mortaio che
a Bakhmut non ti hanno risparmiata.
Sereni i grandi occhi tuoi
che han veduto l’indicibile tritacarne
del fronte, eroina che riposi
nel Vicolo degli Eroi in Vinnytsia
per aver condiviso le foto con i feriti
e consolato un cagnolino
dalle esplosioni impaurito.
Dove un muto messaggio
d’affetto e pianto di dolore
nutre e disseta nella terra,
della tua anima il candido fiore.
Yana Rykhlitska, eroina ucraina.
Yana che gioiosa lavorava.
Yana che studiava e insegnava.
Yana che amava.
Angelo dolce che per un atto di viltà
al cielo di Bakhmut s’è involata.
DONNA DI DNIPRO
Hanno soccorso una donna
tra i fuggiaschi di Dnipro
gli angeli della guerra;
piangeva un ragazzo a lei vicino
dall’onda d’urto d’uno scoppio ucciso.
Era avvolta in una lorda vestaglia,
le mani nascoste, forse non sua,
forse perché era gelata.
Sincero lo sguardo, come stella
di riviera azzurra, per poche foglie
offerte di tè caldo, grata
alla vita innalzando il bicchiere.
Eppure intermittente cala
un silenzio prevaricato dall’orrore
a impedir la fuga per terre
lacerate e ponti in rovina.
Ai confini della notte
in docile accettazione colta,
i muscoli stremati, gli occhi
inariditi dal perduto pianto,
cerca nella preghiera la luce
del tempo andato, tempo
che da ogni notte è arso.
Smarrito il senno e il cuore
al dolore rassegnato,
respira in un canto accasciata:
nave dalle ferite segnata,
al disarmo destinata.
L’ULTIMA SIGARETTA
Digrada l’attesa nella luce
muta di parole, smarrita è l’ora
nell’orologio del tempo
e tu cerchi il sonno che non viene,
per obliare la paura nei sogni
ai quali attingere il balsamo dei ricordi.
In un lontano cumulo di neve ritrovi
il vanto di un soldatino smarrito
e non diresti oggi la lontananza sua,
memoria casta ancor viva in te
eppur senza valore quando solo
nel dolore di una sibilante fucilata,
d’improvviso dal folto spuntata,
assaporavi un caffè all'inatteso amaro
per una brace di sigaretta
che nel liquido nero caduta
ogni sfavillio ha spento
insieme alla tua esistenza:
crudele sciagura che ha sillabato
per te il rintrono della morte.
Tuo non sarà il ritorno all’ingenua
freschezza di quel prato, dove ti tendeva
le braccia tua madre per celarti,
bimbo, sotto il suo caldo seno
gettando la sua ampia ombra.
E con naturalezza su te posava il respiro.
(ESTRATTO da: IL SILENZIO DELLE CETRE, Editrice Leonida, Reggio Calabria, novembre 2024)
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