ANTONIO LIMONCELLI
Antonio Limoncelli nasce a Capo d’Orlando nel 1956. Biologo e giornalista, istigatore d’introspezioni, poeta e artista scrive dal 1970 e dipinge dal 1975. La sua pittura è concettuale, cellulare, radioattiva. Nel 1984 scrive il suo primo libro "Potere d’ingresso" e l’anno seguente Discutendo l’origine d’una possibilità per diversificare il conseguirsi. Nel 1989 ebbe la sua prima pubblicazione: Ultimo libro (Fermarsi nella mente).
Dal 1994 la sua ricerca vuole essere collettiva, fonda e coordina la rivista culturale Crisalide (1994-2000) e l’anno successivo Bruco (1995-2000). Fonda e dirige: Flussi Potenziali (1999-2024), rivista sperimentale d’entropia e Nova Sicilia (2007-2014). Nel 2001 fonda e dirige la rivista d’arte e scienza Nova (2001-2024). Nel 2016 un nuovo esperimento editoriale, la rivista Arte&Fatti, rivista aziendale che promuove la cultura. Antonio collabora con numerose riviste. Presidente dell’Associazione “il Rabdomante”, si occupa di arte e comunicazione. Antonio ha organizzato ed è stato presente in numerose collettive di pittura. Ha al suo attivo quattro personali: Universi e mente (2019) Passaggi e paesaggi (2020) Bazar (2022) Sospesi (2024).
Ha pubblicato numerosi saggi, tra gli altri: Biografia d’essere I e II (1995-96), Metafisica analogica (Strumentalizzazione concettuale dell’Induismo) (1997), Intorno all’esistenza della ragione (1998), Strutture cosmiche spirituali (Nuove teorie sullo spirito della materia) (2000), Analisi e sintesi (Attraverso la logica dei grandi autori) (2004), Scienza dell’esistenza (Irrazionalismi ragionati) (2006) Caos (il meglio del disordine) (2009) Estinzione (Oltre lo spegnimento) (2009) de Kandinskij (L’arte sfigurata) (2009) Dall’intuizione monadica della logoica spirituale alla dualità cognitiva (2012) La follia di Nietzsche (2013) Mente masterizzata (tracce clonate dalla follia lucida) (2013) Esegesi trasversale (su alcune liriche del poeta Lucio Piccolo) (2016) L’arte di scrivere (Essere scrittura; Scrittura formale e scrittura organica; Educare alla scrittura) (2006-2020) Io sono l’identità (Non avrai altro io oltre me) (2021) Discesa all’interno (2021). Ha pubblicato inoltre: Esistere d’amore (1999) Ordigni interiori inesplosi (2005) Amore e follia (romanzo epistolare) (2015) e in pochissimi copie (prove d’autore) Storie & Racconti, Carne e mente, Itinerari erotici / Percorsi traumatici, Anno ibrido, Incursioni dialettiche, Editoriali e Aforismi.
Particolare attenzione, per la poetica, meritano: Riflessioni in fuga (1990) Riflessi incondizionati (1992) e Attenuazioni dinamiche (1997). Un vezzo il breve racconto-saggio i Tecnocrati ovvero i Figli della sintesi (Neuro-tentazione della storia di un delirio) (1998). È del 2010 la raccolta di poesie Cadenze e Cadute (Liriche a cascata). Nel 2011 sperimenta una collaborazione virtuale con Marco Gasperini, Vite parallele (La virtù del virtuale) e a seguire il saggio di passaggio, viaggio dentro e fuori, Momentanei (Istanti mai estinti) (2012). Una considerazione a parte meritano Installazioni - teatro dell’assenza (2015), creazione e introspezione che si manifestano come creativo che si disinstalla, Poemetto sulla Terra (2018) Syd Barrett (Metamorfosi dei testi) (2019) Dialoghi ricombinati (2018-2019) e Dialoghi d’arte (2019-2021)
Le sue ultime pubblicazioni sono romanzi autobiografici: Duedime - Infanzia) (2022) Duedime - Adolescenza (alla ricerca degli altri) (2022) Duedime - Adolescenza (alla ricerca di me stesso) (2023). Di prossima pubblicazione: Duedime - Giovinezza (Milano e dintorni). Antonio è presente in numerose antologie.
RACCONTO ESTRATTO DAL ROMANZO DUEDIME - INFANZIA
LE GROTTE DI SAINT CÉZAIRE
Nel 1964 ebbi la fortuna di assistere ad uno spettacolo naturale tra i più incredibili: le Grotte di Saint Cézaire. Vissi la mia prima esperienza sotterranea, un viaggio fino al “centro della Terra”!
Quel giorno anziché accettare la solita coda sulla litoranea per Cannes, decidemmo di arrampicarci sulle colline in cerca di luoghi meno frequentati, di territori non ancora esplorati, dei dislivelli instabili dell’entroterra nizzardo. Ebbi l’impressione di seguire un itinerario inverosimile perché ritrovarmi d’un tratto in un luogo così diverso dalle rotte abituali mi ripropose la mente d’un alieno, incontrato la sera prima con le lucciole, mentre cercavo di capire me stesso. La mente di quest’essere, di provenienza misteriosa, aveva ingorghi neurali e un’irrazionalità evidente. L’assurdo che mi predisse era un paradosso ancestrale, un luogo organico perduto nel ventre della terra.
Non ebbi la prontezza di appuntarmi i suoi discorsi in apparenza inconcludenti ma l’interno della sua voce, un vagare di sillabe tra il palato e la lingua, si annidò nella mia spina dorsale. Ebbi come un brivido mentre mi parlava della via da seguire, della scorciatoia linguistica latina franco normanna: il suo dialetto usava locuzioni strane a cui non riuscivi ad adattare il pensiero.
Le sue parole non avevano senso se non accettavi la densità dell’eti-mo, se non ponderavi il sedimento sonoro. Con il passare del tempo vennero alla mente un significato ineccepibile e delle assonanze linguistiche coerenti; finalmente sentivo il piacere di capire.
La follia svela l’arcano e tutto si misura con il significato che noi diamo alle nostre visioni. Mi ritrovai in un posto che era descritto in un libro non ancora scritto, una vanteria dell’autore che a parole aveva rilegato i fogli che io avevo dimenticato di portare.
A Grasse, senti profumo dappertutto, gli aromi sono coltivati come fanciulle in fiore, puoi odorare l’inezia e sentirne la fragranza. Seguendo l’olezzo della scia lasciata da una donna fatale, a due chilometri dal centro storico, potevi trovare le grotte.
Scivolai negli anfratti calcarei, scavati nell’era glaciale da un fiume sotterraneo, per scoprire l’inaspettato. Ombre di fantasmi, tra stalattiti e stalagmiti, amplificate dalle candele usate per illuminare il percorso, risvegliarono nella mia fantasia, a 40 metri sotto la superficie, la mia parte oscura e mi piegarono alla volontà di un essere che si era nascosto tra le rocce per incatenare i curiosi e perderli nel profondo di loro stessi. Io non riuscivo a capire perché il mio abisso era uguale a quello degli altri che, in cordata, scendevamo verso l’Inferno. Caronte era sparito con il fiume milioni di anni prima.
I colori dei metalli, al chiarore della fiamma votiva, pregavano la luce di attenuare il bianco, di ingiallire appena, come lampadina al tungsteno, i refusi d’arcobaleno caduti dai cieli nascosti nelle radici. E così passai dall’arancione dominante del grande stalattite al color cioccolata della stalagmite sottesa, dal drappeggio d’una cascata geologica al lentissimo scorrere acqueo che disseta il corallo frastagliato fino al bianco della volta, altro cielo costruito dall’abbaglio, scheletro d’una proiezione ortogonale.
L’ossalato osseo prodotto dal tubo organico, budello minerale, sostituiva l’impalcatura delle viscere terrestri, il fotone animale si nutriva della visione e fluiva nell’antro appena svuotato; riverberava un fenomeno surreale.
Quant’acqua scende fino alla voragine?
La vertigine appende i nostri sogni alla balconata sull’abisso, non si vede il fondo ma si può seguire il verde fluorescente creato dalla mano dell’uomo, un artista che installa colori e sogni.